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altro di casa Miele udí le medesime cose? che valore può avere il suo vago detto, da lui solennemente disconfessato? Non dirò piú del Romeo, confutato dall’eloquente difensore del Miele, e non creduto dalla stessa gran corte, che per il Torella ed il Bozzelli non teneva alcun conto di questo stolido detto.

Carafa. — Vengo ora al Carafa, del quale io dimentico per poco la nobile ritrattazione fatta innanzi di voi, e ritengo la lettera che egli scrisse al prefetto di polizia un mese dopo il suo arresto, quindici giorni dopo la grande dichiarazione del Margherita, cioè il 29 ottobre 1849.

Prima che io esamini questa lettera debbo dirvi, o signori, una cosa importante, la quale vi spiegherá molte apparenti contraddizioni.

Quando io fui interrogato in castel dell’Uovo delle stessissime cose onde fui dimandato subito dopo il mio arresto, dopo le mie brevi risposte, io dimandai all’istruttore perché mi trovava in quel luogo, dove si compilava il processo della esplosione avvenuta innanzi la reggia, e l’istruttore cominciò a tessermi una istoria del Faucitano, del Catalano, del Giordano; mi parlò qualche cosa di un preteso alto consiglio, e mi accennò destramente quello che il Margherita ed altri avevan detto. Questa non solo fu cortesia ma profonda sagacia nell’istruttore, il quale cosí parlando e osservando gli occhi, il colore, i gesti, le parole dell’imputato che gli sta dinanzi, gli legge chiara sul volto o la colpa o la innocenza. Questo modo, che torna a grande lode dell’istruttore, egli tenne con me, e dovette tenere con altri, e specialmente col Carafa. Al quale egli parlò del Giordano, ed il Carafa disse che lo conosceva. Ma ricordandosi l’istruttore che il Margherita pone il Carafa tra i componenti dell’alto consiglio, gliene parlò, gli parlò dell’Agresti e poi di me supposti presidenti; gli parlò del Pironti, del Persico, del Poerio e del Mascilli, nominato non dal Margherita ma dal Vellucci. Insomma dovette dirgli molto e di molti, ed il Carafa dovette rispondere che nulla sapeva. Ma di poi stanco dal carcere segreto, afflitto da sventure domestiche, e da altre cagioni che egli stesso ha narrate, e vedendo d’altra parte che si pretendeva che egli avesse saputo qualche cosa, per riacquistare la sua libertá, rendersi utile al re, e meritarne la clemenza, scelse il partito meno onesto, e scrisse una lettera nella quale espose non quello ch’egli giá sapeva, ma quello che aveva udito dall’istruttore; e che egli malamente e disordinata-