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[525] difesa di luigi settembrini 239


si son doluti di aver incontrata una sventura per aver esercitata una virtú; ma ben ci siamo doluti noi per la bruttezza del fatto, e per aversi compagni nel dolore.

La seconda cosa è la seguente. Contro la decisione che conferma l’accusa e dichiara la corte speciale abbiamo fatto tre ricorsi alla suprema corte di giustizia. Il primo in nome di tutti dice: «Noi siamo accusati di cospirazione contro la sacra persona del re: di questo reato non ci avete nemmeno interrogati, ed il procurator generale nell’accusa non ne adduce la piú piccola e la piú lontana pruova: onde la corte, che ha ammessa l’accusa ritenendo i fatti e le pruove espresse dal procurator generale, ha fatta una decisione non motivata, ha male giudicato, e la sua decisione dev’essere cassata». È stata confermata. L’altra in nome del Poerio, il quale diceva: «Voi mi accusate di un delitto che l’accusa stessa sostiene che io ho commesso quando io era deputato: or l’articolo 48 dello statuto dice che i deputati che hanno commesso un delitto durante il tempo del loro mandato debbono essere giudicati dalla camera de’ pari costituita in alta corte di giustizia; e però se ancora v’è la costituzione, se lo statuto non è lacerato, la corte criminale non può giudicarmi». La suprema corte l’ha rigettato. Il terzo in nome di Nisco diceva: «Tra le accuse datemi c’è quella che io voleva sedurre i militari. La legge dice che se a questo reato se ne aggiungono altri qualunque, debbono tutti essere giudicati dal consiglio di guerra: dal quale io dimando di essere giudicato». La corte suprema, che ha rimandati al consiglio di guerra molti accusati che dicevan belle ragioni per esser giudicati dalla corte criminale, si riserve delle stesse belle ragioni e le ritorce per rigettare il ricorso, e rimandar Nisco alla corte criminale. E quasi che tutto questo fosse poco, abbiam dovuto sofferire di leggere sul giornale il Tempo che le nostre eccezioni eran cavilli e pretesti per ritardare la causa e la condanna che meritiamo. Sia lecito al Tempo di sragionare e di calunniare noi, purché non calunnii e non offenda una nazione sventurata.

Rimane adunque la pubblica discussione, tremenda per tutti, perché in essa si scopriranno molte e forti veritá. In essa interverranno solo pochi uomini e presenti, molti dei quali sono preoccupati da oblique opinioni o sono stupidamente curiosi, e non possono formare quel chiaro ed imparziale giudizio che chiamasi pubblica opinione, e che sará formato sicuramente ed esattamente dai lontani e dai posteri, ai quali io volgo il pensiero e credo di parlare in queste carte.