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due gettati nei criminali e misti ai ladri, io in un luogo men reo. Anche legalissimamente dopo quattro giorni fui condotto innanzi al commessario Federico Bucci incaricato della istruzione del processo; il quale con modi assai garbati esaminò le mie carte, e non vi trovò nulla che avesse potuto farmi temere o arrossire. Poi m’interrogò e disse: «Voi siete negli arresti perché imputato di far parte della setta nominata Unitá italiana, e di aver diffuso un proclama col quale si eccita il popolo ad armarsi contro l’autoritá reale, cangiar la forma del governo, ed eccitar la guerra civile nel regno». Allora seppi finalmente l’accusa che era il pretesto della mia prigionia, e risposi non conoscere questa setta nemmeno di nome; per indole, per ragione, e per trista esperienza abborrire le sette, e sprezzarle: cercai, ma inutilmente, di sapere chi fosse il mio accusatore, di vederlo in viso per confonderlo; dissi di non aver mai dato proclami, chiesi leggere quello, e mi fu letto. Era una sozza e pazza scrittura. Io allora con un poco di santa superbia rammentai e feci scrivere tutte le azioni della mia vita, rammentai le antiche ed ingiuste cagioni che mi facevano odiare, rammentai gli scritti da me pubblicati nei quali si scorgono franche ed oneste opinioni; e col semplice tuono della veritá dissi cose per le quali il commessario faceva atti di maraviglia, e mi pareva dicesse fra sé: «Questi è quel terribile uomo che mi hanno detto»? Infine divenimmo quasi amici: e pochi giorni appresso egli disse ad un mio amico che a me lo ripeteva: «Io non so perché si debba temer tanto del Settembrini ed odiarlo, mentre egli è un onesto uomo». Se tutti quelli che mi odiano volessero vedermi e parlarmi, forse mi diverrebbero amici. Fui condotto nelle prigioni di Santa Maria Apparente, e non fui piú interrogato: intanto il processo seguitava.

Il 30 giugno il commessario chiamò l’Iervolino e gli dimandò: «Se tu sei stato piú volte in casa Settembrini, chi vi hai trovato?» E quegli, che aveva detto di non conoscere il nome di alcuno dei miei amici, subito nominò il Mignogna che era stato arrestato con me. E poi disse che egli veniva in casa mia quando la polizia mi arrestava, onde corse a darne avviso al Poerio, il quale lo mandò subito ad avvisarne l’architetto Francesco Giordano: ei va, non lo trova nel caffè dove soleva trattenersi, e per dargli l’avviso del mio arresto non trova altro espediente che scrivere il suo nome su di un pezzo di carta, e darlo al caffettiere incaricandolo di farlo capitare al Giordano: ripete che mi conobbe