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generale li ha riuniti tutti pel solo titolo della setta, senza badare che i fatti e le persone non avevano alcuna relazione tra loro; ha unito i briganti, i truffatori, i galeotti, gl’infami con uomini di chiara fama e di specchiata onestá, giá stati ministri, deputati, magistrati, e con altra gente onorata, quasi per avvilirli e renderli spregevoli. Cosí è nato un mostruoso processo dove sono le piú strane e scellerate fantasie che diconsi pruove: e da questa informe congerie si cava l’accusa, e si fa come chi volesse torre una storia vera dall’Orlando furioso. Io so che i grandi apparati nascondono sempre povertá; e pare che si sia accozzato un gran processo per fare una grande mostra ed un grande spavento sul volgo; ma chi non è volgo con un po’ di giudizio e di pazienza osserva le cose placidamente, vede sparire di mano in mano il castello incantato, e sorride. Io dunque parlerò prima del mio processo particolare, e poi del generale per quella parte che mi riguarda.

I miei nemici che fieramente e ingiustamente mi odiavano e volevano vendetta ad ogni modo, dissero fra loro: «Settembrini fu altra volta accusato come settario, e lo dicono acre scrittore; facciamolo dunque accusare come settario dell’Unitá italiana, e come autore di un proclama rivoluzionario». Tra i delatori pagati, che sono testimoni in ogni processo, e che quantunque carcerati per truffe e per furti o per note calunnie, sono sempre carezzati ed adoperati, fu scelto quel tristo Iervolino, e fu comperato per accusarmi. Costui è un agente salariato della polizia, come lo mostra quel suo rapporto al Cioffi che sará presentato dal Poerio, era un cagnotto del Cioffi, è un malvagio che riceve per prezzo d’infamia dodici ducati il mese. Nel 1844 si faceva accusatore di suo padre, dicendo che parlava male del governo con Gaetano Bracale, a cui il commessario Marchese mostrò la denunzia scritta dal figliuolo contro il padre e contro di lui: il Bracale disse a me quest’orrendo fatto. Ecco l’uomo che fu scelto.

Costui, il giorno 23 aprile 1849 scriveva un libello e diceva: che trovandosi senza lavoro e senza pane cominciò ad assistere il Poerio per avere un impiego, e non avendolo subito, pensò che l’indugio derivasse da non appartenere egli ad una societá, onde fe’ premura al Poerio di ascriverlo, sperando cosí di spingerlo a dargli un impiego essendo lui il ministro di stato: che il Poerio accolse con piacere questa domanda, e lo spedí a Nicola Nisco, facendolo accompagnare da Nicola Attanasio: che il Nisco