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[503] difesa di luigi settembrini 217


arbitrii, che aveano prodotto per ventotto anni tanto male al nostro straziato paese. Onde tra i primi e pazzi furori della stampa io scriveva il 18 febbraio una lettera ai ministri, nella quale li pregava di essere forti e giusti, non distruggere tutto il vecchio perché il vecchio non era tutto pessimo; diceva non essere né giusto, né onesto, né utile che quegli uomini i quali in tempi corrotti servirono lealmente il re, e non abusarono del potere che avevano, fossero mandati giú in fascio coi ribaldi: diceva che resistessero forte alle sfrenate ambizioni di alcuni che si dicevan martiri perché avevan gridato un evviva o erano stati tre giorni in prigione: desiderava che la Sicilia fosse tornata al nostro principe, che nessuno avesse dormito, avesse mangiato, si fosse riposato, prima di finir questo affare: e pregava la maestá del re ed i ministri di provveder presto a questo male. Quantunque io avessi scritta questa lettera, nella quale io non raccomandava altro che la giustizia, e diceva cose approvate dai saggi; pure ebbi fama di fiero e velenoso scrittore, mi credettero autore di tutti i giornali, attribuirono a me tutte le stampe ingiuriose al governo ed ai privati; onde io fui, e sono ancora, fieramente odiato da molte persone che si tengono offese da me, il quale conosco pochissimi, onoro tutti, e non so offendere nessuno. Invano io diceva a tutti: «Non son io che scrivo, no, ma è chi è pagato per seminare discordie e partiti, per aizzar gli animi, per far nascere turbamenti, per toglierci la costituzione che il re ci ha data». Invano nel mese di marzo io dichiarava nel giornaletto il Lume a gas che io non scriveva in alcun giornale, non offendeva nessuno, rispettava la Costituzione ed il re, badava ad ammaestrare i giovani, e consigliava a tutti di mettersi un sughero in bocca ed un rotolo di neve in capo. Fu tutto invano: quegli stessi che per prezzo o per malvagio animo scrivevano per turbare il paese, gridavano: «Settembrini scrive»: ed il volgo vestito di vari colori, sempre bestiale e superlativo, ripeteva, che io scriveva: gli offesi si sdegnavano contro di me, e taluno mi minacciò di battiture e di morte. La cagione di questa fama io non voglio dirla, ma tutti la sanno e la dicono. Ma io sperava nel tempo, sprezzava queste voci, ringraziava Iddio ed il re che ci aveva dato uno statuto: per me non voleva altro bene particolare che aprire uno studio, ammaestrare la gioventú, stampare senza revisione qualche mia povera scrittura letteraria: chi vive di studi non ha maggiori bisogni di questi.