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I

DICHIARAZIONE DI LUIGI SETTEMBRINI

scritta il 13 maggio 1848

e non potuta pubblicare per la stampa


Immacolato venni all’uffizio di capo di dipartimento nel ministero dell’istruzione pubblica, immacolato ora voglio e debbo discenderne. Lo accettai non perché credetti di meritarlo, ma perché speravo che con una forte e santa volontá avessi potuto far bene alla mia patria. Ma ora siamo ridotti a tal punto che un uomo onesto non può fare il bene, non può stare in uffizio; onde io voglio che pubblicamente si conoscano le ragioni della mia rinunzia.

Il nostro misero paese è ridotto in miserrimo stato. I ministri, uomini nuovi alla difficilissima arte di governare, uomini deboli e inetti, non hanno la forza di disprezzarci e di farci il bene nostro malgrado. Mentre da una parte gridano che la finanza è povera e fanno prestiti, dall’altra parte creano novelli uffizi, li dànno ciecamente e per quel buon cuore che è debolezza d’animo, impiegano quelli che strillano piú lazzarescamente, i ladri conosciuti e giá destituiti, i ladri novelli, le spie, gl’infami, e tutta quella ribaldissima schiuma ch’era ed è ancora a galla. Questa debolezza de’ ministri fa baldanzoso il popolo: ognuno crede di poter salire a quell’impiego dove vede salito un malvagio o uno stolto: onde i tristi pretendono, i buoni si lamentano.

I ministri hanno colpa sí, ma la colpa vera l’abbiam noi, l’ha questa plebe affamata e vilissima, questa turba di scostumati pezzenti che stanno da mane a sera con la bocca aperta gridando: «impieghi impieghi»! Salgono tutte le scale, invadono tutte le