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204 parte terza - capitolo lxxv [490]


fortissimo, che veniva da galline, tacchini, capre, pecore, oche, conigli, che dovevano servirci per cibo. Quasi tutti sofferivano mal di mare, e i camerieri anch’essi, e non potevano né spazzare né fare altro servigio; sicché nel muoversi del legno vedevi cader piatti e bottiglie e pitali, e correr brodo, vomito, e orina a rigagnoli. Il puzzo era grande, il sudiciume orribile, ognuno gettato sul suo giaciglio non aveva forza di muoversi non reggeva cibo nello stomaco, non poteva neppure avvicinarlo alla bocca. L’equipaggio attendeva alla manovra delle vele, e non si curava punto di noi. Alcuni de’ nostri erano proprio sfiniti: non so se saremmo giunti tutti vivi in America.

Il 6 marzo si sbarcava a Queenstown nella baia di Cork.

Io narro di quei fatti solamente la parte che riguarda Raffaele, serbando ad altra scrittura la narrazione compiuta d’ogni cosa. Andammo subito a Londra Raffaele ed io, e fummo accolti dal caro Panizzi, dal marchese d’Azeglio ministro sardo, da Giuseppe Devincenzi, dei quali serberò sempre carissima memoria. Molti signori inglesi vollero vederci, e ci accolsero con quella cortesia che è proprio di un popolo grande e generoso.

Raffaele per una lettera dell’Oliviera che lo raccomandava al Roebuck, e per l’azione che aveva fatta, entrò subito come uffíziale nella gran compagnia Transatlantica, e fece parecchi viaggi da Galway a New-York con soddisfazione e lode della compagnia, che gliene rilasciò attestati in iscritto.

In aprile 1860 tornai in Italia, e lasciai Raffaele che navigava ai servigi della compagnia Greco-orientale deliberato di venire in Italia, ed entrare alla marina da guerra italiana quando vi potrebbe entrare.