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LXVI

Racconto di mia moglie.

Raffaele era tornato dalla guerra di Crimea nel 1856. Mi venne una lettera da Genova nella quale mi si diceva che egli era gravemente ammalato nell’ospedale; che se voleva vederlo l’ultima volta e benedirlo andassi subito a Genova. Era di sera tardi quando ricevei quella lettera. Quello che sentii non so dirlo. Mi gettai a terra fuori il balcone, e stetti cosí tutta la notte piangendo sempre e chiamando col ritratto nelle mani mio figlio, che moriva in un ospedale. All’alba mi levai di lá: non vedevo piú con gli occhi. Fu chiamato un salassatore, che mi cavò sangue. Uscii subito di casa, ed andai da Giulia cui mostrai la lettera. Era ancora presto. Andai a casa di Fagan che mi accolse con la sua solita garbatezza, e pianse meco. «Fatemi avere un passaporto, il ministro mi faccia avere un passaporto». «Ma a quest’ora il ministro dorme, e voi sapete che prima delle 12 non gli si può parlare». Vennero finalmente le dodici, e vidi il ministro che mandò subito il Fagan pel passaporto, e non potè averlo: andò egli stesso dal Bianchini, e mostrò la lettera, e cosí ebbe il passaporto che mi fu consegnato verso la sera, e il giorno appresso partii per Genova. La traversata fu orribile pel mare agitato, e perché bisognò fermare secondo il solito a Civitavecchia, a Livorno, a Genova dove si giunge il terzo giorno. Subito sbarcai ed accompagnata dal capitano a cui ero stata raccomandata dal conte Groppello ministro piemontese a Napoli, mi diedi a cercare dell’ospedale, che nessuno conosceva dove fosse, e dopo due ore di andare di qua e di lá, finalmente ci fu indicato l’ospedale di marina. Il capitano mi lasciò alla porta: io lo ringraziai. Domandai del caro figlio ammalato; una monaca della caritá suora Giuseppina mi disse che non poteva