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LXV

(Il passaporto negato).

Santo Stefano, 20 agosto 1858.

Gigia mia carissima,

Dopo un lungo aspettare, e tanti pensieri, e tanti timori crudeli, stamane ho letto la lettera che tu scrivevi ad Errico un mese fa, egli dici che non puoi tornare1 perché il console non ti vuole vistare il passaporto. Quasi me l’aspettava quest’altra sventura. In paese forestiero, senza conoscenza, come puoi fare tu povera donna con una salute sí malandata? Gigia mia diletta, pensa sopratutto alla tua salute se vuoi che io non muoia di dolore: e poi datti animo, e mostrati quella forte donna che sei. Spero che Peppino abbia fatto ogni suo potere per ottenerti il ritorno: io gli scrivo subito oggi stesso che faccia quello che creda conveniente per questo fine, ma tu sai che le mie lettere vanno lente, e giungono sempre dopo il fatto. Credo che tornerai e che questo tempo che devi rimanere costá non ti sará inutile per allogare il nostro Raffaele.

Io sto bene al mio solito. Si parla di un’amnistia, dalla quale con sei altri sarei escluso io, che anderei in esilio. Trattative ci sono, qualcosa deve uscirne, una conclusione qualunque deve venire. Pare che ora non sia molto lontana, né molto vicina come si crede: ma ci deve essere qualcosa. Sta di buon animo, perché alla peggio verrò io da te. E di Raffaele nostro non dici nulla. Come sta, e che fa il caro e benedetto figlio? Possa la compagnia della madre sua renderlo tranquillo, ed acchetargli quella tempesta giovanile che lo agita tanto.

  1. Da Genova dove era venuta per vedere il figlio. [N. di R. S.]