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LVII

(Delusione).


Santo Stefano, 9 giugno 1857.

So che non si va piú in America né di volontá né di forza: che si era dimandato solamente esilio non fuori d’Europa, ed ora si dimanda di piú; ma non si vuol concedere nulla. Starò dunque nell’ergastolo, con la pazienza e la rassegnazione che ho avuto sinora. Se hai nuove, puoi scrivermele.


LVIII

(Il disastro di Sapri).

Santo Stefano, 14 luglio 1857. Ore 3 e mezzo p. m.

Gigia mia, stamane ho saputo la notizia del disastro di Sapri, e sono addoloratissimo, e maledico quegli scellerati che sotto specie di libertá, standosi da lontano, mandano giovani generosi a morire, anzi ad essere macellati. Io non so che ti scrivo, ho la testa confusa, come il cuore trafitto.

Tre giorni fa ti mandai una mia lettera pel solito marinaio, che è tornato, e non mi ha portato tua risposta. Che debbo pensare? Fosse avvenuta qualche disgrazia? a chi? a te? ad Errico? Credo che costá debbono essere grandi rigori, grandi arresti, e peggio. Scrivimi ogni cosa, come prima. Qui non abbiamo altra restrizione che non potere scendere ed io non scendo neppure quando posso scendere. Il comandante non è tristo, e questo ci assicura.