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XLIV
(Primi accenni alla deportazione).
Santo Stefano, 7 dicembre 1856.
Carissima Gigia mia,
La cosa che ti disse tuo nipote mi ha recato assai maraviglia in prima, e poi piacere. La sappiamo solamente noi altri che conosciamo quell’affare di Panizzi; anche senza tua raccomandazione, non l’avrei detta ad altri, per la condizione di questo luogo maledetto. Ma credo che tra un mese sará saputa e strombettata dai giornali. Dove adunque ci manderanno? Tu non me l’hai scritto chiaramente; e però rispondi alle mie dimande, e piglia altre informazioni piú esatte da tuo nipote.
Ci manderanno in America, va bene, ma dove? nella repubblica Argentina, mi pare che hai voluto dirmi. Dunque a Buenos-Ayres? E di chi è questo pensiero? del re, o dell’incaricato americano? E se dell’incaricato, cioè del suo governo, ti pare egli che questo espediente sia stato suggerito dall’Inghilterra? Io per me l’accetto volentieri, e credo che quasi tutti l’accetteranno. Gigia mia, è cosí terribile l’ergastolo, è cosí triste la condizione del nostro paese, che ogni mezzo, ogni via per riacquistare la libertá è accettabile. E poi io ritornerei subito in Europa, e non resterei lí un mese. L’andare e il ritornare potrebbe pigliare un otto dieci mesi, quanti ne impiegò Raffaele, quanti dice che ne impiegherá il suo amico1. Dopo otto o dieci mesi noi potremo essere uniti, ed aspettare il nostro Raffaele. Non ci sarebbe altro per me che un po’ di
- ↑ Giovanni Marangoni di Mantova, che fu tenente nel 45° reg. di fanteria italiana, fu fatto prigioniero a Mentana e morí nelle carceri politiche di San Michele a Roma. [N. di R. S.]