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[393] un lutto di gennarino placco 107


volte della loro fanciullezza, della loro prima giovanezza, me lo aveva dipinto bello, amabile, ingenuo, semplice: m’aveva detto quante canzoni albanesi egli aveva composte per lui che la notte spesso andava cantando e facendo le serenate; mi aveva narrato come egli sposò una bella e cara fanciulla, la quale lo fece padre di una bambina e di un bambino, che si chiamano Marta e Lodovico, come si chiamavano il padre e la madre loro; mi aveva descritti tutti minutamente i riti di quel matrimonio, solennitá che gli albanesi celebrano religiosamente con una certa poesia simbolica ed antica onde anch’io ho pianto la disgrazia di quell’onesto giovane, ed ho innanzi agli occhi quelle due creaturine, che Gennarino dice ora sono figliuoli suoi. Povero amico! Egli mi parla sempre di questa disgrazia, egli ha il cuore sbranato dal dolore, e mi dice: «Vedi: io ho cinque ferite, ho una mano storpia, fui dannato a morte, ora sono nell’ergastolo per aver voluto fare il bene: e mi hanno assassinato mio fratello, Luciano mio tanto buono e caro! Ed a chi aveva fatto male, a chi poteva egli far male quell’angelo?»

Io non ho cuore di descrivere il suo dolore, di riferire le sue parole: io sento voglia di piangere anch’io.