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78 parte prima - capitolo x


luogotenente in Sicilia, fu richiamato per libidini troppe anche in un principe. Poi fece lo scultore e il liberale, e molti liberali annacquati gli erano intorno, taluno per bisogno. Ma Antonio conte di Lecce superò tutti in bassezza e bestialitá. Ritiratosi in un paese detto Giugliano, si accerchiò di bravi che per suo conto rapivano fanciulle e maritate, battevano e ferivano chiunque resisteva. Vestito da castaldo, andava pei mercati vicini, comperava e vendeva porci, buoi, cavalli, grano, granturco: spesso rissava coi villani, e dava e toccava pugna e nerbate: ingannava, frodava; truffava nei negozi, e se ne vantava come di astuzie. Colto da un marito fu precipitato da una finestra: cosí pesto, e marcio di libidini e di furfanterie, si morí ancora giovane. Monsignore Scotti gli recitò l’orazione funebre, nella quale non lodò nulla, e i vizi erano troppo noti e inescusabili, ma disse che era vissuto male e morto bene, ché Dio e grande e poteva averlo perdonato, e diede per certo il perdono e la salita di don Antonio in paradiso. Gli altri fratelli Luigi e Francesco di Paola non erano venuti su, e le loro valentie le fecero di poi. Intanto la madre loro Isabella seguitava a fare figliuoli con un tedesco: lo scandalo era troppo: il re volle che ella scegliesse pure un marito, ed ella finalmente si messe in grazia di Dio e tolse a marito un bel giovane. Insomma in quel sozzo lombricaio borbonico, il solo re Ferdinando fu costumato.

Dopo cinque mesi da la morte di Cristina egli andò a Vienna e tolse a seconda moglie Maria Teresa figliuola dell’arciduca Carlo. Costei scaricò una dozzina di figliuoli; odiò cordialmente i Napoletani che parlavano sempre di Cristina, e ripeteva sempre al marito: «Casticate, Fertinante, casticate». Egli seguí subito e bene il consiglio della nuova moglie, la quale gli stava sempre attaccata al fianco, come chiodo a la scarpa, ed egli la chiamava Centrella. Ma torniamo in Calabria.