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IX

Una cattedra.

La setta non impediva che io non attendessi alle mie faccende ed ai miei studi, né gli studi e le faccende m’impedivano di attendere a quella cara fanciulla che io adoravo. Un giorno per una via la incontrai che andava con una monaca e mi parve un’angeletta: e mi sparí dagli occhi, ma mi rimase nella mente e nel cuore. La rividi dopo un anno, e seppi che abitava non lungi da casa mia, e viveva ritiratissima, che la monaca era sua educatrice, e che i suoi genitori, persone modeste e tutti di chiesa, volevano consacrarla in un chiostro. Io me ne innamorai perdutamente, e non potevo altro che vederla in qualche chiesa e di lontano: e mi dissero che tra breve non l’avrei neppure veduta, perché la sua famiglia la chiudeva in un monastero. Oh questo non sará, dissi io; e un giorno mi presentai ai suoi genitori e la chiesi in moglie. Non mi ci volle poca fatica a vincere i loro scrupoli e a persuaderli, perché non volevano maritarla, ed ella stessa voleva far vita divota. Infine mi dissero che sí, ma quando sarei stato nominato professore. Cosí la prima volta la vidi da vicino e le parlai. Ella aveva nome Raffaela Luigia Faucitano; era un fiorellino di sedici anni, era timidissima, quella che poi divenuta donna doveva soffrire tanto e con tanto coraggio; e lavorava a’ suoi bellissimi ricami, ed anche parlando con me non ismetteva da’ suoi lavori, e di tanto in tanto alzava gli occhi e mi guardava con un sorriso che mi faceva tremare.

Io volevo ottenere la cattedra di rettorica e lingua greca vacante nel liceo di Catanzaro, perché in quella cittá era mio fratello Peppino, e ci era andato anche Giovanni, e con me erano rimasti gli altri due fratelli minori e la sorella, essendo