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tre giorni in cappella 257


conoscenza, non vedeva e non riconosceva piú il marito, che l’era vicino, e la chiamava a nome. «Dove è Salvatore mio?» ella diceva. «Sono venuti i Bianchi a prenderlo? perché se lo prendono? io gli voglio parlare per l’ultima volta. Che ha detto il cardinale?» Chiamava mia moglie, chiamava la signora Agresti, e dimandava del marito. Povera donna! stette piú ore in questo stato miserando, furono vani i soccorsi che le demmo e si divise dal marito senza poterlo riconoscere.

Molte persone ignote chiedevano di vederci; e noi pregammo don Giulio di non lasciare entrare altri che i parenti. O buon don Giulio! quanto fece per noi, quanto dolore sentí per noi! Ma ecco due ignoti, che son preceduti da un custode, il quale ci dice: «Questi due signori, amici del direttore di polizia, son venuti per vedervi». Filippo rispose: «E che siam bestie curiose noi?» Eran due brutte facce stupide, che tosto andaron via.

Vennero gli avvocati G. de Vivo, Biagio Russo, Francesco Bax, e l’egregio Federico Castriota, che tanto aveva fatto e detto per noi. Ci dissero: «Il procurator generale vi fa sapere che alle 3 pomeridiane partirete: voi anderete all’ergastolo, gli altri ai ferri». «E non ci si leggerá la grazia?» «Nulla: un ordine è venuto come fulmine: tutto è pronto: onde voi preparatevi». Molti de’ nostri partirono per prepararci il necessario. Non vidi Amilcare Lauria, ottimo difensor mio e di Filippo, perché egli non ebbe cuore di vederci.

Quando i miei figliuoli udirono che io andava all’ergastolo, mi corsero innanzi, e abbracciandomi e piangendo, dicevano: «Non vi vedremo piú». La madre li sgridò per quel pianto sconveniente: io li racconsolai, dissi che fidassero in Dio, obbedissero la madre, si ricordassero di essere figliuoli miei. Essi, con la madre, ed i miei fratelli assistettero al nostro pranzo. Non dirò che sentii e che dissi in quei momenti, perché sono segreti del cuore. Mia moglie mi stava vicino, i figli mangiavano con me.

Intanto ci fu annunziato di dover partire. Uscimmo fuori il carcere, dove trovammo legati i nostri amici che ci abbrac-

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - i. 17