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254 parte seconda - capitolo ii


custodi, ed ho finto di dormire. E stando cosí udivo un rumor di tavole che si caricavano sopra una carretta, e le voci dei carnefici che si disponevano a preparare il palco. Dopo la mezza notte è venuto il procurator generale, e mi ha chiamato: io gli ho risposto che mi lasciasse dormire. Mi ha domandato come stavo: io ho risposto: ‘Come mi avete ridotto’ Mi ha detto di levarmi, ed io: ‘Signor procurator generale Angelillo, se siete angelo per me, ditemi subito ogni cosa, ché io non mi sbigottisco, se no, lasciatemi tranquillo’. Mi ha fatto scoprire, ed ha pianto: m’ha fatto levare i ferri, e m’ha condotto da voi». Qui Filippo gli disse: «Per te era stata cucita anche una veste gialla, perché tu dovevi andare alla guillottina col secondo grado di pubblico esempio: noi alla forca col terzo grado cioè scalzi e vestiti di nero». «Basta, diss’io ora siam vivi e sani: ci è stata data la sola vita, e questa ci basta per ora». Filippo preparò per Salvatore un’altra tazza di caffé, e fumando ci ponemmo ad aspettare il giorno.

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Spuntava l’alba del giorno 4 febbraio, e gran gente era intorno la prigione, ed altra andava per vedere il palco, che giá era stato disfatto. Rivedemmo Giuseppe Caprio che abbracciandoci con gran pianto e facendo forza per baciarci le mani, ci disse: «Tutti i carcerati hanno voluto che io vi baciassi le mani per loro: per tre notti e tre giorni non si è mangiato, non si è dormito; tutti han detto rosari e litanie, hanno pregato per voi, e non v’è santo in paradiso che non abbia avuto voti e preghiere. Saputa la grazia, è stata una festa». Io mi sentiva la gola stretta, e non poteva rispondere. Poi venne la moglie di esso Caprio con un figliuoletto, e la moglie di Salvatore Colombo: io non so dire quanto affetto ci dimostrarono queste buone donne popolane, le quali avevan vegliato tutta la notte innanzi la prigione, dolenti piú della nostra sorte che di quella dei loro mariti, condannati a 19 anni di ferri. Lo stesso custode, col quale avevamo parlato della co-