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tre giorni in cappella 241


morire? ma che intendono di fare? che sono tre capi? faranno morire l’idea? l’idea non muore mai, anzi ha vita e forza dalle persecuzioni. Miserabili! mi fanno pietá anche ora che ho i ferri ai piedi!» Filippo e Salvatore chiesero di fumare, ed avute ed accese le pipe seguitammo i nostri ragionamenti: i custodi ci chiesero permesso di fumare anch’essi ed ascoltavano. Filippo mi disse: «A me non fa paura la morte, perché l’ho veduta e sfidata molte volte nelle battaglie, non l’ho temuta quando assisteva i colerici in Marsiglia; e poi ho cinquantaquattr’anni: ma mi duole di te che se’ giovane». «O mio Filippo», risposi, «degl’infelici miei studi io non ho cavato altro frutto che conoscere le miserie della vita, e non temere altro che l’infamia. Io morirei contento se sapessi che il nostro sangue giovasse al nostro paese, fosse l’ultimo che qui si sparge; se nessun altro patisse, nessun altro piangesse; se tornasse la pace alla nostra patria sventurata». «Oh sí», disse Filippo, «sí», disse Salvatore, «purché giovasse alla nostra patria mille volte morire.» E poi tutti dicemmo: «Gioverá senza dubbio». «Io», soggiunse Filippo, «non ho altro dolore che per mia moglie, che, essendo francese, qui non ha, cioè non aveva altro sostegno che me: e per mio fratello che è vecchio e mi ama assai: ma tu sei padre di due bambini, Salvatore ne ha sette...» Salvatore sospirò; io risposi: «Iddio non abbandonerá i nostri figliuoli». Qui tacemmo alquanto.

Io ringrazierò sempre Iddio che in quei terribili momenti mi diede una serenitá grande ed una forza di volontá da scacciarmi dalla mente l’immagine di mia moglie e de’ miei figliuoli. Non so se questa sia debolezza; ma confesso ingenuamente che l’amore della famiglia mi avrebbe vinto, senza un nuovo coraggio che mi venne da Lui. Sentivo in me come due anime contrastanti. L’una affettuosamente crudele mi presentava le piú belle e liete ricordanze della mia vita, quando io amava ed era riamato, quando ottenni la diletta donna mia, quando mi nacquero i miei figliuoli, quando mi scherzavan su le ginocchia; mi rammentava l’angelico sorriso di quei pargoletti, le loro parole tanto care ai padri, e le mie

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - i. 16