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234 parte seconda - capitolo ii


ed un figliuolo di Salvatore Faucitano, ed un ispettore che ci dice: «Il permesso è per un quarto d’ora». Povere donne! con quante amorose parole ci confortarono ad aver coraggio, esse che ne avevano piú bisogno di noi. Passò molto presto il quarto d’ora, diedi io stesso la lettera a mia moglie, le dissi alcuna mia volontá, abbracciai e benedissi i miei figliuoli. Il custode maggiore avvicinandosi a Filippo gli disse: «State allegri: io ho buone nuove: riuscirá bene per tutti». Questo dabbene uomo, a nome Francesco Buonabitacolo, onesto, povero, pietoso, è peccato che faccia il custode, ed è fortuna che i prigionieri siano affidati a lui. Egli, e l’ispettore di polizia don Giulio Verduzio, uomo egregio ed amabile, ci fecero molti di quei favori che in altri tempi era follia sperare, o se n’aveva qualcuno con molto oro. Il governo non li ha perseguitati, perché non li ha conosciuti. Poiché i nostri furono partiti mi parve di avermi levato un gran peso di dosso, e ci ponemmo a passeggiare nel corridoio, ed aspettare. Era un’ora dopo il mezzodí, io mi feci alla finestra, ed ecco nella strada mio fratello Giuseppe, che mestamente con segni mi fa capire essersi pubblicata la decisione, dannati a morte tre, fra’ quali uno co’ baffi; e poi pronunziò la parola «Caserta», e partí. Compresi che mi aveva indicato Filippo Agresti: ma gli altri due? Vincenzo corre da Filippo, che si stava preparando la mensa, e gli disse esser tre i condannati a morte. E Filippo rispose freddamente continuando i suoi apparecchi: «Fra questi sono io, è bene che mangi prima». Non aveva finite queste parole, non ancora aveva gustato un cucchiaio di brodo, che un custode ci dice d’uscire per ascoltar la sentenza. «Ma dove? su la Corte? dobbiamo mutar panni?» «No, qui fuori, nell’estracarcere». Uscimmo dunque nell’estracarcere, dove tra otto custodi che ci guardavano, rimanemmo in piedi un’ora, tra le angosce piú crudeli. Tre dovevamo morire: ma chi tra noi? E perché questo ritardo, questa sevizia di tenerci tanto tempo incerti? Sospettammo si attendesse Nicola Nisco, o Felice Barilla da San Francesco. Ognuno temeva per sè, temeva pei compagni. Filippo mi si accostò, e piana-