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XXII

Dopo il 15 maggio.

Il dimani passai in casa di un vicino nostro amico, perché disse mia moglie: «Se verranno ad assalirci e non troveranno te, non vorranno fare male a me e ai due fanciulli». Verso la sera venne mio fratello Alessandro, e volle condurmi seco a Scafati, e il giorno appresso il 17 ci condusse anche mia moglie e i miei figliuoli. Mia moglie mi disse come per la via di Portici aveva incontrato alcune compagnie di guardie reali, che portavano su le punte delle baionette parecchi berretti di guardie nazionali, e gridavano «Viva il re, mora la nazione», e pochi fanciulli cenciosi seguivano quei soldati; e come ella passò quasi per miracolo in mezzo a loro senza essere costretta a ripetere quel grido selvaggio. E Alessandro mi diceva che quando venne da me vide innanzi la reggia una gran moltitudine di femmine con tamburi e nacchere sonare, ballare, cantare, e ogni tanto gridare «Viva il re, mora la nazione», ed erano di Santa Lucia, e di altri quartieri bassi della cittá, e molte erano male femmine, e facevano baldoria coi soldati.

In Scafati avevo le triste novelle. Molte centinaia di prigionieri tratti in Castelnuovo, e quivi parecchi fucilati nel fossato del castello: i soldati entravano per le case e per le camere tirando fucilate, e uccisero donne e vecchi e fanciulli: due case bruciate in via Santa Brigida: palazzo Lieto bruciato e saccheggiato, e mentre le fiamme uscivano dei balconi, nel cortile soldati e lazzari arraffando si spartivano biancherie finissime: il caffé sotto il palazzo Buono bruciato e distrutto palazzo Gravina, dove era il Circolo nazionale, bruciato, uccisovi anche una donna; per le vie della cittá vari cadaveri;