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il collegio 13


prima di morire. La pietá piú grande fu quando andammo per un giorno a riveder nostro padre, che era ammalato, e aveva intorno a sé gli altri figliuoli, Giovanni, Vincenzo, Teresa, Alessandro, tutti bambini e vestiti a bruno che ci vennero incontro con lagrime e strida; e nostro padre pallido e sfigurato dal dolore ci disse: «Ella prima di partire vi ha benedetti, ed io vi benedico tutti, o figli miei, in nome di vostra madre». La nostra casa era una spelonca: per ogni stanza cercavo la mamma, e la mamma non c’era piú. Quella giornata e quel dolore furono amari assai. Chiunque mi ha parlato di lei mi ha detto sempre che ella era una donna rara di bontá e di senno: e le sorelle di mio padre sue cognate mi dicevano: «Tua madre aveva la testa di Napoleone, sapeva fare tutto e vinceva sempre».

Era l’anno del giubileo 1825, ed essendo l’animo mio cosí addolorato giunse il tempo degli esercizi spirituali che si facevano nei collegi ogni anno. Ci venne un vecchio arciprete: (Miele: era tutto bianco nei capelli e acceso di volto), che parlava molto semplice e acconciamente, ed io mi sentivo entrare nell’anima le parole di quell’uomo di Dio, e vi facevo su lunghe meditazioni. Il De Silva ne fu colpito anch’egli, ed entrambi cominciammo a ragionare della gran vanitá di questo mondo, della morte vicina, dell’inferno spalancato innanzi ai nostri piedi, e delle gioie del paradiso. Ogni stella che ci vedevamo splendere sul capo ci pareva la faccia di un angelo o di una vergine che ne sorrideva e ci chiamava lassú a vedere le bellezze del cielo e a cantare le lodi di Dio. Ci demmo alla piú focosa devozione: non piú scherzi, non giuochi, non ballo, non scherma, ché ne parevano cose profane; anzi le stesse lezioni di scuola erano mondanitá, le facevamo per obbligo, poi a leggere vite di santi, prediche, salmi, orazioni. Lo volevo intonare sempre io il rosario per farlo recitare piú adagio, ed in fine delle litanie aggiungevo una ventina di santi, senza curarmi che alcuno dei compagni si contorceva, e dicevami sottovoce: «Finiscila a canchero ché mi fanno male le ginocchia». Ogni sera prima di andare a