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la rivoluzione del 1848 175


sapevo che i Borboni non perdonano ed io li aveva offesi, e temevo un pugnale o un veleno: non accettai alcun invito a pranzo, non scrissi mai in alcun giornale. Consideravo attentamente tutte le cose che mi si dicevano, osservavo bene quelle che mi cadevano sotto gli occhi, pensavo sempre, e dimandavo come erano avvenuti i fatti. Ogni volta che io udivo i monelli gridare per le vie, vendendo alcune carte stampate: «L’esilio di Delcarretto, la fuga di monsignor Cocle, la fuga di Campobasso e Morbillo, storie belle a leggere, un grano l’una!» io mi sentivo scuotere, e pensavo: «Questi uomini quindici giorni fa facevano tremare Napoli, ed oggi sono vituperati». Quando il re aveva le dolorose nuove della Sicilia, e sentiva crescere ogni giorno i bollori di Napoli, chiedeva consiglio a quelli che gli erano dattorno, e chi gli diceva usasse il cannone, chi facesse rizzare una forca in capo ad ogni via, chi la forza piú irriterebbe il popolo, e doversi concedergli qualche cosa, chi guadagnare i principali e piú accesi liberali, e tirarseli con danari, onori, ed anche uffizi: tutti furono di accordo a dire che la cagione di tutti i mali erano gli abusi della polizia, si parlò della pericolosa potenza di Delcarretto, del suo piegare verso i liberali, che tornava il carbonaro che era stato nel 1820, che il ministero di polizia si dovesse abolire, e non confidare piú tanti poteri ad un uomo solo. La notte del 26 gennaio fu chiamato il Delcarretto come a consiglio nel palazzo reale; gli si fecero innanzi il ministro della guerra ed il generale Carlo Filangieri, e gli dissero che per comando del re doveva subito allora imbarcarsi su di un vapore che attendeva ed uscire del regno. Il Delcarretto fu come percosso da un fulmine, chiese di parlare al re, gli fu negato, dovette immediatamente cosí come si trovava montar sul vapore il Nettuno e partire. Andò a Livorno, e lí il popolo trasse al porto, e con alte grida maledicendolo e chiamandolo a morte, negò acqua e carbone, e lo fecero partire. A Genova fu peggio; alcuni balzarono nei battelli per assalirlo e prenderlo; e il capitano temendo per sé ed i suoi marinai voltò subito la prua, e partí. Tornò a Gaeta, e