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6 parte prima - capitolo i


dargli altro che un cartoccio di polvere di Cipro e un paio di scarpe nuove, che la marchesa gli aveva consegnato dopo di aver chiuso il baule, ed egli se li aveva messi in saccoccia. Il giovanotto da prima si accigliò, poi sorrise, s’incipriò i capelli, si calzò le scarpe nuove, e si mise a ballare un minuetto. Pochi giorni dopo il povero Filippetto fu chiamato in Napoli, e giustiziato: e il crudele padre invitò a pranzo i giudici che lo avevano condannato. Quattordici mesi stetti a Santo Stefano e poi fui richiamato in Napoli anch’io; ma i tempi erano mutati, fui assoluto e tornai a casa».

A questo racconto io non movevo palpebra, ma a quello spillone nella rosa diedi un guizzo, e mia madre fermò la mano che cuciva e impallidí.

Qualche tempo dopo la gran festa in chiesa vidi gran numero di soldati passare per la città, e alcuni uffiziali alloggiare in casa nostra, i quali mi dicevano: «Vuoi venire con noi? si va a combattere i tedeschi». E io correvo a la mamma, e le dicevo mi mandasse alla guerra, ed ella rispondeva: «Prega Dio che difenda la nostra patria, e che non ci vengano i tedeschi».

Ma i tedeschi vennero, ed io ne vedevo tanti vestiti di bianco e col lauro al cappello, ed altri ufficiali venire ad alloggiare in casa nostra, e non parlavo affatto, e dentro sentivo una gran passione vedendo mio padre pensoso, mesta mia madre, e la casa squallida, perchè tutta l’argenteria da tavola e qualche altra cosa di valore che v’era l’avevano nascosta. Ci volle il bello e il buono a persuadermi di lasciare la coccarda tricolore, e di mangiare con una forchetta di ferro. Non udivo altro che malinconie e tristi novelle: «Hanno carcerato il tale, hanno tolto l’impiego a quel poveruomo che con tanti figli come farà?». Don Giuseppe Golino prete mio maestro ebbe tolta la scuola e la messa, e morì mendico. Una mattina si udì un suono di tromba, e poi un grido doloroso. La mamma si fece alla finestra, io volevo vedere anch’io, ma ella mi prende per mano, e cade lunga per terra. Mio padre esclama: «È la frusta! oh, a che siamo giunti!» e