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44 | scritti di renato serra |
Nominerò a parte quel poemetto, che forse è il solo pezzo di poesia pura che il Pascoli abbia scritto, con animo quasi d’artista schietto: Gog e Magog: il quale è degno che solo se ne parli sub rosa.
Ma quando queste facoltà secondano l’animo commosso, allora si ha la vena più originale di quella poesia, tutta lirica e che tocca il sublime talora (o cavallina, cavallina storna!), e quasi sempre è dolce, cara, come tante cose nel canto dei morti e dei ricordi, che non ho bisogno di citare a nessuno; per altro vi è già una certa inquietudine, un tremore, una vibrazione troppo personale; si sente che la commozione è per trasportare il poeta in quei mondi a cui la parola umana è inadeguata.
Intorno a questo, che è come il nucleo dell’opera, dilaga senza legge e senza confine la poesia in cui pare che le facoltà del poeta abbiano obbedito solo alla sua bizzarria. La quale si è compiaciuta di insistere su un punto solo, su una tendenza, sulla facoltà musicale o sulla facoltà simbolica, sul cantante, sul singhiozzante, sul sottile, sull’ingegnoso, sul puerile, fino a cavarne effetti che soverchiano ogni misura del comune intendimento.
Da questo punto di vista potremo renderci conto così dei versi, come di tutti gli atti della sua vita spirituale; vedremo nelle pose di veggente e di profeta nazionale, come nell’oscuro verbo di una politica mezzo retorica e mezzo mi-
nia propria delle cose semplici e felici; quel gusto leggero di reminiscenza classica (purior in vicis aqua tendit rumpere plumbum....)! Ma rileggete tutto: della prima parte, s’intende.