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giovanni pascoli 43

spirito del poeta, o per espressione o per suggestione o per ritratto o per contrasto, riconosce sè ed è contento.

Se fosse possibile raffigurarsi una facoltà poetica separata dall’animo che la muove, si potrebbe definire il Pascoli press’a poco così: come un uomo di facoltà poetiche ammirabili, le quali obbediscano alla bizzarria di uno spirito disuguale e di una intelligenza imperfetta.

Quando queste facoltà operano sole, esse creano per la propria virtù cose conformi; sono le bellezze frammentarie, i particolari adorabili della poesia pascoliana; tutti quei cenni e quei tratti e quei tocchi che fanno somigliar la sua opera alle cartelle di ricerca e di studio d’un pittore. Sono anche quei pezzi in cui tutto lo spirito del poeta è stato preso inconsapevolmente dall’interesse proprio della cosa a cui lavorava, e non ha badato ad altro che a far quella; penso ai quadretti delle Myricae, a tutti i pezzi, diciamo così, di mezzo tono, fatti a cuore tranquillo e a mente serena, il desinare e il bucato, il torello e il soldato di San Piero in campo, nei poemetti; o anche, per citarne uno che non ha altra bontà che di cose semplici dette bene e la grazia che nasce dall’equilibrio e dalla temperanza — che sapore prendono queste parole assai comuni quando accade di poterle riferire al Pascoli! — la fonte di Castel vecchio.1

  1. Fanciulle io sono l’acqua della Borra
    dove brusivo con un lieve rombo
    sutto i castagni; ora convien che corra
    chiusa nel piombo.


    Che bella strofa e come ben costrutta! e come è cara quell'agevolezza, quella bontà senza sforzo, quell'armo-