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x coscienza letteraria di renato serra

ce, con uno di quei cominciamenti di pretto stampo carducciano. Ha da avviarsi ad una conclusione? «Posso prender securamente mio cammino», dice, con una punta di stile un poco fredda. Ha da rigettare una interpretazione? «Ben posso io chiedere se invece di ricercare nuvilosamente la inspirazion psicologica dei Trionfi, e trovar ch’essa manca di spontaneità lirica e di grandezza epica, non sia da tentar di chiarire ecc. ecc.», dice, con quell’uso dei tronchi cari al Carducci, e le gelide graziette dell’Acri. E le sue citazioni le chiama «luculente», i suoi riscontri, «luculenti», e «luculente» sono le sue riprove. Gli piace anche un popolaresco e stridente «serio serio», che non gli piacerà più tra qualche anno. Parrebbe facesse a posta, dove la materia era più inerte, o inerte il proposito, a giocare con questi abbellimenti raggiustati. O era l’impaccio della sua mente alacre, del suo ingegno vivido, costretti a un lavoro di ricerca da condurre avanti con la fredda impassibilità del dotto stile scientifico.

Il nuovo scappava fuori d’impeto, in poche righe fuggitive, in poche affermazioni nette, composte in una schiva chiara prosa. Era la contropartita, era la rivincita. «I Trionfi non sono, per raccogliere una accusa dei critici moderni, una rappresentazione della vita reale; è ben vero: ma sono pure in qualche modo rappresentazione di una vita. Essi si muovono, se m’è lecito dir così, nell’aura più tenue e sottile della vita letteraria: rappresentano il mondo fantastico e ideale dell’antica letteratura, colto, nelle forme se non negli spiriti, con perspicuità, e nettezza mirabile, di visione; e sì le figure e le persone ne rendono, in loro atti e atteggiamenti e parvenze più caratteristiche, mirabilmente». A vent’anni Renato