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42 | scritti di renato serra |
esaurito dai versi; e i versi valgono per lui in quanto conferiscono al suo sentimento della vita: nè si possono intendere se non profondati in lui stesso, nella sua persona, nel suo animo solo. Così, solo e assorto, egli canta; e il valore del suo canto non è quello che il comune uso dell’umano commercio ha fermato, ma è tutto quello che il suo spirito crea nella libera ebrietà della solitudine.
Lo scrittore che nelle carte stampate si contraddice, si oscura, si ripete; che soggiace a tutte le abitudini e a tutte le debolezze di un ingegno disordinato, e infantile nella sua forza; colui che crea con la stessa serietà le cose più grandi e le, più goffe, le più gentili e le più puerili; colui che ignora nella soddisfazione dei suoi bisogni spirituali ogni misura e ogni legge, che insiste fino al tormento, che dilata fino alla noia, che annega i lampi più felici e le perle più nuove in una fiumana lenta di banalità, in una cantilena che addorme o in una dissonanza che strazia, non rappresenta egli del poeta se non una immagine imperfetta; come l’ombra bizzarra e difforme che la parete trattiene dell’uccello che passa volando. (Dico: intendendosi poeta, nel significato ch’egli vuole; e come intenzione, non come realtà).
Quel poeta ingenuo e puro accetta di se stesso tutte le forme, quali che sieno: e in esse si contempla e si esalta senza discernere: quello che agli altri riesce complicato e difficile per lui è tutto semplice. Egli non sceglie una faccia di se stesso, come più significativa: ma in tutte si piace: la sua umanità è perfetta e innocente. Essa unisce la virtù più gentile dell’uomo ai moti del bimbo. Il suo ingegno, ricco di ogni forza fantastica e musicale, adopera come il ramo che cede ai capricci del vento; ma in ogni operazione, lo