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giovanni pascoli 37

tono il loro Pascoli a un miglio lontano, ch’io chiamerei, pieni di cose;

(.... in mezzo a quel pieno di cose E di silenzio....)

versi a cui manca ogni ricerca d’espressione e nella gran semplicità pare che le cose stesse, buttate là senza studio e nella forma più cruda, parlino senza mezzo. Il contrasto della nudità della frase con la pienezza dell’oggetto li fa vivi e vasti: comunica al nostro spirito un senso indefinibile di realtà.

È per es. la visione del torello

Passa.... Oh! poggi solivi! ombrose stalle!
E quanto fieno! quanta lupinella!

Dove non c’è altro che queste molto semplici parole, fieno e lupinella, eppure qualcuno leggendo si trova l’anima ricolma di odor di prati e di campagna e di sole e di mille altre cose e sensi indicibili.

E’ anche quel che mi pare in questo genere il verso tipo:

cantando inzeppa l’erba onde si esala
odor di fresco e verde e gioventù.

Nel quale a volta a volta mi pare che ci si possa tuffare come a rinfrescare le guancie sudate scottanti nel fascio dell’erba allora falciata, e mi pare anche che non si trovi più altro che un accozzo di parole vane.

Per questa via, è tutto un mondo nuovo che si apre: un mondo instabile e misterioso, in cui le sensazioni più calde, più vive, nascono improvvisamente o si dileguano, senza che se ne possa