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36 | scritti di renato serra |
Non c’è nulla di straordinario in nessun punto; non potrebbe essere più semplice.
Ma è una semplicità schietta, chiara, ampia; essa mi offre tutto l’essenziale e pur mi lascia libero di godermi la temperanza dell’immagine nel disegno del verso, del fantasma nel suono, così pura e felice, come più non potrei desiderare.
Invece, se ritento un poco più curiosamente i versi del Pascoli, troppe cose trovo che mi offendono; un’antitesi abbastanza volgare (aria dolce — zolle dure), una mischianza di immagini che si abbuiano; e poi una cert’aria di strafare, un ritmo incerto che sfugge. Così almeno a me pare.
Ma anche il Pascoli qui e in mille altri luoghi (rileggete il vecchio castagno, dove raddolcisce per l’innesto la sua natura selvatica, o dove mostra i segreti del tronco intarlato; ovvero pensate ai figli di Mirrine, o a quel senso che è creato, nel sogno della vergine, del rivo di sangue che....
stupisce le intatte
sue vene: un sangue più vivo,
più tepido: come di latte.
Stupisce le placide vene
quel flutto soave e straniero,
quel rivolo labile, lene,
d’ignota sorgente, che sembra
che inondi di blando mistero
le pie sigillate sue membra)
è poeta di virtù prodigiosa.
Così si disegna una tendenza del suo ingegno poetico: volta a realizzare sensibilmente, e talora materialmente, le impressioni.
Ma se mi rimetto a leggere, per vedere come il carattere che ho fermato si determini meglio in atto, ecco qualche cosa che mi interrompe la via. Sono quei versi, pur così frequenti e che sen-