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giovanni pascoli | 31 |
Se non che l’illusione non nasce soltanto in faccia alla morte; non è solo religione, ma è più universalmente sogno, speranza, poesia che consola gli uomini ad ogni ora. Il Pascoli legge gli antichi poeti; e sente l’aura in sè di quelle grandi fantasie, degli eroi e degli dèi che popolarono l’Ellade beata. Ma ecco egli, uomo moderno e che sa di filologia, capisce troppo bene che quelle sono favole. Non solo, ma capisce anche come son nate; per certe abitudini della mente umana, per certe figure e abusi del linguaggio, che operano ora e che sono infine la cosa più naturale del mondo. Il linguaggio di quei primi navigatori non poteva significare il vulcano, se non come un gigante, con un occhio rosso di fuoco sul cucuzzolo, che scaglia sassi e rupi sul mare; non poteva dimostrare le onde se non come fanciulle candide che sorgono a una a una alla riva, corteggio dell’argentea Teti.
Nell’anima di chi sa questo (o crede di saperlo), favole e sogni sono morti troppo più che nell’anima di ogni altro: poichè il sogno, pur escluso dalla realtà materiale, vive in un altro ordine di realtà; ma la scienza, che lo riporta in mezzo a noi e mostra come è nato, essa sola lo uccide.
Allo stesso modo la religione non è ben morta se non per chi l’ha vista nascere naturalmente dalle disposizioni più comuni; se non per chi ha capito che l’anima, misteriosa e immortale, consiste solo del soffio, che si vedeva vaporare dalla bocca dell’uomo e che dalle labbra agghiacciate per la morte era partito; per chi si è reso conto che gli dèi si rappresentano alla fantasia della smarrita umanità vagabonda, non altrimenti che i mostri e le gigantesse, accennanti fra le nuvole del cielo agli occhi della piccola gente brulicante