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giovanni pascoli 25


Così il Pascoli. Uomo che ad ogni istante si ritira dal fiume della vita, e ne contempla le mobili forme col suo occhio nuovo: questo è mio, egli dice, ma perchè è mio? e perchè è questo, e non altra cosa? e che vale per me, per la mia vita? Sì che la sua inquietudine è perenne. Ma perenne è pur la sua gioia, contemplando, nell’accettare: a tutto quello che la vita gli offre, egli dice di sì, — anzi: e sì! — e si esalta in ciò e si inebria. In ogni cosa, su ogni parola egli insiste come se quella sola ci fosse nel mondo; ma vi insiste tanto fin che ella abbia parlato e recato al suo cuore la buona novella, fin ch’ella sia fatta come simbolo, da cui possa esprimersi un senso di vita e di felicità.

V’è mai accaduto di fissare il pensiero sopra una piccola cosa futile, il numero dei passi che si contano per giungere a una porta, o l’accender del lume col primo fiammifero, e di sentire improvvisamente che a quella piccola cosa è legato qualche significato grave e quasi fatale per il vostro destino; sì che, se l’avvenimento non secondi l’aspettare, l’animo è colmo d’agitazione; e solo quando ha potuto immaginando accomodare le cose in un modo che dia buon augurio, allora ritrova la quiete e il buon sapore del vivere? Pensate bene a questo; e poi pensate al Pascoli: pensate che la quiete può esser trovata anche nella voluttà del pieno dolore, nel naufragio del nulla.

Ecco, il poeta legge; l’occhio è fermo su tre versi dell’Ascreo

(Non di perenni fiumi passar l’onda
che tu non preghi volto alla corrente
pura, e le mani tuffi nella monda
acqua lucente).