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20 | scritti di renato serra |
poeta che dà la stessa importanza alle sue lagrime e ai suoi versi, mi riesce la più strana cosa del mondo: è probabile che l’uomo non mi piaccia e che con uno stesso moto io mi allontani anche dall’artista: poichè l’uno e l’altro son troppo stretti nella medesima persona.
Se non che questo fa nascere non solo nel pubblico due schiere di pascoliani e di antipascoliani, tutti e due più obbedienti a un istinto del loro sentire che a un giudizio sull’arte: ma anche in una persona, e innanzi a una stessa cosa, genera gli effetti più singolari.
A un medesimo lettore una poesia del Pascoli non è mai identica: ma trascolora ai suoi occhi come al sole il collo della colomba. Leggo, e tutto mi riesce bello, nuovo, caro; e il mio cuore si gonfia di un affetto intenso e nella pienezza del consentimento pare che il petto mi scoppi. Giro l’occhio un istante dietro una rondine che vola, e quando torno a fermarlo sopra la pagina, trovo tutto raffreddato vuotato inaridito: spento il fuoco e la cenere sparsa.
Per un momento avevo abitato ingenuamente il mondo del poeta: poi, son tornato in quello degli uomini.
Ma, fra queste due disposizioni contrarie del nostro spirito, si può ben capire come anche la fisonomia di lui esiti e, quasi per gioco di opposte luci, si tramuti in vista a ogni batter di ciglia; cavarne un ritratto pacato e compiuto, è presso che impossibile. Bisogna contentarsi di segni, di scorci, di tocchi colti quasi a volo e fermati un dopo l’altro, come si può, sulla carta; già n’abbiamo accennato qualcuno, qualche altro proveremo ancora di accennare.