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16 | scritti di renato serra |
è imperfetto, di ogni contrasto, di ogni atto, di ogni moto.
Quel suo verso che passa per tutti i modi, dalla facilità abbandonata corrente al moto rotto saltellante singhiozzante; che è tutto canto e musica e poi tutto sfumature e sospensioni e riflessioni e interrogazioni; pieno di slanci improvvisi e di cadute subitanee, sottolineato da tutte le intenzioni che sono possibili e anche da quelle che non sono, non s’intenderebbe altrimenti se non così; come una voce che risuona in un gran silenzio, di un uomo che si ascolta intentissimo.
Così si spiegano tante stranezze; per es. di quei versi che si reggono appena, quasi sul filo di un rasoio: che a leggerli semplicemente sono un accozzo di parole rotte e discordi; ma pur c’è un modo di leggerli appoggiando la voce su certi punti, svelando certi accenti nascosti e lasciandone cadere altri, che dà loro qualche misura e ritmo di verso.
Anche qui, troppo si vorrebbe citare; dai primi accenni quasi inavvertiti delle Myricae («lontana come di stornellatrice») fino alla varietà sottile e consapevole dei Canti e dei Poemetti ultimi, fino alla esasperazione degli Inni.
Ma con lo stesso sentimento bisogna rendersi ragione dell’oscillare vertiginoso dei metri: che dalla melopea cantante uguale delle serie di endecasillabi fondati sullo stesso sistema di accenti, degli ottonari puri (Fate piano! piano! piano!) dei settenari a cadenza (Che hanno le campane Che ronzano lontane Che squillano vicine), dei quinari accoppiati (Suono che uguale, che blando cade Come una voce, che persuade), passano al singulto rotto e alle impuntature dei novenari (Il treno nel partir vacilla, Casina che sorridi al