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Benchè Renato Serra sempre si dimostrasse lettore attentissimo del Croce, e al Croce amasse scrivere come a maestro, e ricorresse a lui tante volte, per sua pace, e sempre poi ricordasse certe conversazioni cesenati, in cui, com’egli stesso diceva, pareva come per magia rinascere il miracolo di non so che «altro dialogo e coro», pure un crociano egli non fu mai. Forse per il timore d’essere confuso con quegli altri crociani che disprezzava: «cotesti flagelli di tutte le età e di tutte le dimensioni», imperversanti «nelle scuole, nei caffè, nelle redazioni dei giornali o presso le cattedre universitarie». Ma era troppo superiore, e troppo aristocraticamente colto, per temere d’esser macchiato agli occhi del pubblico da quella brutta pece. La ragione è un’altra, e s’illumina con l’opera critica del Serra, tutta di finissima tempra, di finissima letteratura, non sorda al gusto dei problemi generali, ma che amava servirsene come d’una spinta a pensare piuttosto che farsene sostegno ad ambiziose architetture; e amante egli era sopra tutto di discorrere intorno ai suoi argomenti, movendo da più parti, dal ritratto psicologico, dalle pitture d’ambiente, da certe care e inutili divagazioni, e da sottilissimi rapporti e squisitezze: e poi veniva, anche, quand’era il momento, l’analisi più propriamente letteraria, il giudizio folgorante. Intorno al suo te-