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12 scritti di renato serra


Ma non è già la voce intonata caldamente a piena gola sulla lira, modulata e variata nella ricchezza della melodia; è una voce bianca che lascia cadere il verso come cosa venuta di lontano, da un invisibile mondo; voce piana, uguale, un poco stanca d’uomo a cui le parole non importano, poichè la sua anima è assorta: e gli basta che in quell’abbandono monotono di cantilena duri la muta eco dei sogni.

In quanto a fattura e struttura, il verso del Pascoli è cosa molto semplice, le parole per solito seguono l’una l’altra secondo la legge dell’uso più comune. Non c’è discorso, non c’è disegno, non c’è composizione; e la frase è la frase usuale, che si trova su tutte le bocche. Voi potete scriverne di seguito quanti volete, senza che nessuno s’accorga mai, almeno alla disposizione e alla composizione delle parole, di avere innanzi dei versi. Da questo punto di vista non sono altro che prosa, la più povera delle prose («O madre il cielo si riversa in pianto, oscuramente, sopra il camposanto. È mezzanotte, nevica. A la pieve suonano a doppio, suonano l’entrata. Ti splende su l’umile testa la sera d’autunno, Maria. Uomini nella truce ora dei lupi pensate all’ombra del destino ignoto che ne circonda»).

In somma, son versi senza forma; ma — perdonatemi l’orribile bisticcio — in quella mancanza di forma è la loro forma propria. In quell’indefinibile contrasto fra la intensità del ritmo e la povertà del suono, fra la profondità delle intenzioni e il languore dell’espressione, in quella musica vaga di risonanze e di echi, di suggestioni e di accentuazioni il poeta ha sentito se stesso; ha creato la qualità ultima della sua poesia.

Io non saprei descriverla meglio che con le