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giovanni pascoli 3

cata e di innocenti manie e dulcia vitia; o non forse un poco tutte queste cose insieme e altre ancora, coltivate con alcun senso di dolcezza epicurea.

Sia di ciò come si vuole: questo pure è certo, che tutto quel che si dice dell’umanista può convenire al Pascoli solo come una definizione, diciamo così, negativa. Nel mondo spirituale egli è al polo opposto.

Guardatelo, per non cercar d’altro, quando ha che fare con un libro. Per un umanista quello è il momento più bello; e nessuna altra cosa al mondo può rendere un’immagine della saporita dolcezza con che egli legge, o per dir meglio, rilegge i suoi autori.

Ora, del Pascoli, non si può nemmen dire che egli legga propriamente dei libri; quel mondo fatto di parole e di sentenze e di versi, da citare o da assaporare, non esiste per lui. Innanzi a un libro, tutto l’interesse della sua anima è posto fuori delle parole e della lettura; è fisso negli oggetti, che la fantasia calda come di fanciullo gli offre pieni e sensibili; è nelle cose, nei fatti ch’egli sente quasi parte della sua propria vita.

A intender questo, basta dare un’occhiata a una di quelle raccolte che egli ha messo insieme per gli scolari; a quella che s’intitola Sul limitare. Confrontatela con la antologia del Carducci, per pigliar uno che ci rappresenti la nostra tradizione letteraria nella sua schiettezza; e sentirete meglio che per ogni discorso la differenza dei gusti e della cultura; sentirete sopra tutto quel che c’è nel Pascoli di nuovo, di singolare, di ribelle a tutte le nostre consuetudini mentali.

Nel libro del Carducci tu riconosci, sì, anche l’uomo e a grandi linee il suo sentire, l’italianità,