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438 notizia sugli scritti di renato serra

l’Ambrosini, quando gli parla degli spunti o marginalia che potevano prepararsi per la progettata rivista presso il Bocca: tra cui questo: «III. A proposito di realize e di classicità: come il D’A. ha scritto la novella di Calandrino e del Porco. Qual’era l’interesse del Boccaccio e in che forme stilistiche si esprimeva....» (Ep., 325-26).

Questi marginali dovevano esaminare l’opera del D’Annunzio sotto diversi aspetti, in confronto con letterati nostri e stranieri, antichi e moderni: «Se ne potrebbe fare una serie: di marginalia e alla fine D’Ann. si troverebbe circoscritto» (Ep., 325). Di tale possibilità di «circoscrivere» D’Annunzio, di tale «disegno di circumizione dannunz.», si fa cenno altre volte nell’Epistolario, e Serra assicura l’amico «che alla fine ne resta fuori poco, del nostro uomo» (Ep., 329). Quale poi fosse in sintesi il concetto serriano sul D’Annunzio, lo troverete esposto all’Ambrosini nella lettera del 10 settembre 1910: «Il principio mio, e credo anche il tuo, è questo; che in D’Annunzio è una gran felicità di eloquio, dalla natura: e potenza di esprimere nella parola tutto quello che alla parola, come per sè stante e sonante, si può chiedere. Ma l’animo è vano e piccino, quando egli si sta a sentire...» (Ep., 338).

Fallita l’idea della rivista torinese, i marginali rimasero spersi e interrotti, spesso come assaggi e come appunti. Ecco perchè il Serra, pubblicando ne La Voce del Prezzolini (a. III, n. 14, 6 aprile 1911), lo studio su La Fattura, lo presentava nel sottotitolo come un «episodio di uno studio intorno a G. D’A.». Episodio che restò tale, e a cui si riferiva quasi certamente il Serra il 12 luglio 1910, scrivendo all’Ambrosini: «Ti mando, com’è caduto dalla penna nel primo incorso, il primo Marginale. Ci sarà molto da togliere, da pulire. Ma tutt’insieme non mi pare una cosa cattiva. O il calore dello scrivere mi toglie lume, o, Dio mi perdoni, non c’è molta gente oggi intorno, capace di buttar giù così d’un fiato