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esame di coscienza di un letterato 417

cola, fra grandi ombre nere calanti sopra la terra. Anch'io cercavo altre cose, fuggite e desiderate, perdute e presenti, laggiù sulla riva del mare; sull’orlo, dove l’onda fugge e ritira con sè l’ultimo velo dell’acqua, mentre i fiocchi di spuma si spengono con un sibilo lieve; resta scoperta una riga di sabbia bruna, umida e intatta, come un sentiero nuovo per venirci incontro a piedi scalzi.... nessuno. Nessuno deve venire. — Così andavamo l'uno presso l'altro, scambiandoci le parole, da rive ora vicine ora lontane: qualcuna cadeva, o arrivava con suon mutato. Qualche volta le sembrava di ascoltar me; e io non avevo parlato; era il suo cuore che batteva. Avrei avuto tante cose da aggiungere o da spiegare, tante cose accumulate e messe da parte pensando a lei, dopo quella sera che ci lasciammo, quasi stanchi di parole, fuggendo ognuno verso la sua inquietudine: la sua voce mi seguiva ancora fra le lunghe ombre del tramonto e io fissavo la ruota silenziosa che correva sulla polvere biancheggiante, come se fossi già solo. Avrei dovuto tornare, se ci fossero state buone notizie del paese di Francia. Ci fu la Marna; vinsero i Francesi e non tornai. Noi non avevamo — noi non abbiamo ancora nè combattuto nè vinto). Una voce dal carro, che rasentavo passando; voce d’uomo supino, fra il sobbalzare e il cigolare del carico di barbabietole o di carbone, che va sotto il sole e arriverà a notte alta; e un richiamo lento di là dal canale, fra i solchi biancastri e calcinati su cui dorme il riflesso del cielo e del mare, carico di un azzurro così ricco, che anche la freschezza del suo soffio ha un peso sul viso. Sentivo la voce, strana, fra il silenzio e il fremere uguale delle gomme. «Signor tenente, ci torniamo presto?». Richiamati delle ultime ma-