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416 | scritti di renato serra |
che sorge dalla terra bruna e mi sfiora le dita, mi fa sentire che sono calde e gonfie nell’aria viva: e l’acqua dev'essere ghiaccia laggiù tra il grano dove s’è fermata tra solco e solco; son rivoli e pozzette chiare; che lascian vedere l'argilla chiara sul fondo; e, sopra, sul nastro liquido teso brilla svolgendosi il fumo denso delle nuvole, come inchiostro che si scioglie in luce.
Si ha voglia di camminare, di andare. Ritrovo il contatto col mondo e con gli altri uomini, che mi stanno dietro, che possono venire con me. Sento il loro passo, il loro respiro confuso col mio; e la strada salda, liscia, dura, che suona sotto i passi, che resiste al piede che la calca. Non ho altro più da pensare. Questo basta alla mia angoscia; questo che non è un sogno o un'illusione, ma un bisogno, un movimento, un fatto; il più semplice del mondo. Mi assorbe tutto nella sua semplicità; mi fa caldo e sostanza.
Fede è sostanza.... No. Fede è una parola che non mi piace, e quanto a cose sperate, non ne conosco.
Non credo che ci sia niente di fatale o di misterioso nel mio desiderio. Fatalità della razza risorgente, istinto di umanità ricuperata, son tutte frasi che non destano in me nessuna eco precisa.
Le cose che io penso sono determinate e comuni. Quanto all'umanità, conosco solo quelli che ho vicini: quelli che mi fermavano quest’estate, quando passavo in bicicletta, in riva al mare, o per lo stradone infocato: si ricorda, caro professore, quando glielo raccontavo? (Era una delle ragioni per cui io rimanevo più tranquillo accanto a lei che balzava e fremeva: mi guardava cogli occhi fissi: vedeva forse di me solo un'ombra, pic-