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414 | Scritti di Renato Serra |
momento. Adesso ho capito. Ho potuto distruggere nella mia mente tutte le ragioni, i motivi intellettuali e universali, tutto quello che si può discutere, dedurre, concludere; ma non ho distrutto quello che era nella mia carne mortale, che è più elementare e irriducibile, la forza che mi stringe il cuore. È la passione.
Come ieri, come sempre. Quante volte ho portato con me questa compagnia. Non mai così intima come oggi, come questa, che non ha nè volto nè nome; è tutta una cosa con la mia solitudine più sola e con la mia contentezza più amara.
Il resto è caduto come scaglia dagli occhi dissigillati. Ho sollevato le palpebre e ho sentito la gioia del loro gioco, così semplice e così naturale nello staccare ciglio da ciglio, e nel dare il passo quieto a tutte le cose del mondo: un piccolo cerchio viaggiante solo per me, nello spazio fra la retina e l’aria; l’ulivo che fa risuonare il metallo della sua scorza rugosa e il pallore delle sue foglie nella chiarezza che m’è davanti.
E insieme con ciò, dopo e prima di tutte le cose, la mia passione: angoscia: vita di questo momento. Perchè non siamo eterni, ma uomini: e destinati a morire. Questo momento, che ci è toccato, non tornerà più per noi, se lo lasceremo passare.
Hanno detto che l’Italia può riparare, se anche manchi questa occasione che le è data; la potrà ritrovare. Ma noi, come ripareremo?
Invecchieremo falliti. Saremo la gente che ha fallito il suo destino. Nessuno ce lo dirà, e noi lo sapremo; ci parrà d’averlo scordato, e lo sentiremo sempre; non si scorda il destino.
E sarà inutile dare agli altri la colpa. A quelli che fanno la politica o che la vendono; all'egoi-