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esame di coscienza di un letterato 411


Così è accaduto a tutte queste inquietudini e angoscie e pensieri, che stringevo dentro di me fin da quei giorni ultimi di luglio; chiuse, come una tristezza o un amore, che non si discute; esiste, dentro, e si applica a tutti i momenti e a tutti gli atti del vivere quotidiano. E poi viene il giorno che si discute. Così, passo passo. Si tira fuori e si guarda. Parte per parte, pezzettino per pezzettino. A guardarlo fuori, è un altra cosa: tutta lisa, limata, logora, vana: e si comincia a buttar via, con una irritazione per ciò che si è subìto così stupidamente, che si confonde con la gioia di sentirsi leggeri e col desiderio di aver finito presto, del tutto. Si fruga in tutti gli angoli, si scruta, si tenta, si esaminano tutte le reliquie, i compromessi, le tracce dissimulate e profonde: par che non s’abbia mai terminato questo lavoro di revisione e di pulizia, che alla fine ci farà tirare un sospiro così profondo di liberazione.

Ma anche questa volta ho terminato. Uno per uno, li ho esaminati tutti, i pretesti dietro cui mi ero rifugiato in un momento di debolezza; e nessuno ha potuto resistere alla interrogazione di uno sguardo freddo.

Sono libero e vuoto, alla fine. Un passo dietro l’altro, su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci, con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo; e di là il mondo. A ogni passo la corona del pino, che pareva stampata come un’incisione fredda lassù su una pagina d’aria grigia, si sposta; si addensa; affonda i suoi aghi di un verde fosco e fresco in un cielo più vasto, che scioglie tanti stracci di nuvole erranti in una gran trasparenza scolorata. C’è una punta d’oro in quegli aghi che si tuffano nell’aria così vuota, così nuova. Anch’io son vuoto e nuovo.