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410 | scritti di renato serra |
mi par così poco. La prenderò come una lezione, che so di aver meritato. E non parliamo più della guerra.
Anzi, parliamone ancora.
M’è voluto del tempo, per riuscire a quella conclusione, i giorni son passati intanto che me la ripetevo, e forse mi sono scordato di qualche cosa. Bisognerà tornare indietro, per un minuto, e ricapitolare, per fermarmi a oggi. Vediamo.
Il conto non è finito. Ho detto che questi pensieri mi pesavano, che bisognava liberarmene.
E, dunque, sono libero. Di pensieri.
Non era una cosa molto semplice. Erano tanti, penetrati così dentro, un'abitudine, un'ombra oramai naturale e stabilita sopra tutte e altre cose di passaggio. Mi avevano fatto compagnia quando l'inverno giaceva sui colli duri, imminenti nell'aria di vetro; e il seccume giallo giù per le prode mostrava immobilmente le righe dell’acqua traboccante e della neve scolata via a rivoletti. Mi avevano fatto compagnia senza parlare, come un peso inevitabile.
E poi adesso li ho portati ancora a spasso con me per queste sere di primavera che tarda a venire; livida, scura, irritata dalle colonne di una polvere arida ancora d’inverno che si alzano e corrono via strisciando sulle strade di una bianchezza che è falsa sotto le nubi di mobile piombo.
Li ho portati e li ho tollerati tanto che alla fine me ne sono liberato. Li ho consumati, appunto, come un’abitudine; che a poco a poco perde ogni significato; finchè uno si domanda, nel riprenderla, quasi meccanicamente, ma perchè? e si volta indietro, e si meraviglia di aver durato tanto, nella ripetizione senza motivo; ed è finita.