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esame di coscienza di un letterato 407

pressi saranno vendicati e gli oppressori saranno abbassati; l’esito finale sarà tutta la giustizia e tutto il maggior bene possibile su questa terra. Ma non c’è bene che paghi la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuta notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non compensa il male, abbandonato senza rimedio nell’eternità.

E poi, di qual bene si tratta? Anche gli esuli che aspettano la fine come il compimento della profezia e l’avvento del cielo sulla terra, sanno che il sogno è vano.

Forse il beneficio della guerra, come di tutte le cose, è in sè stessa: un sacrificio che si fa, un dovere che si adempie. Si impara a soffrire, a resistere, a contentarsi di poco, a vivere più degnamente, con più seria fraternità, con più religiosa semplicità, individui e nazioni: finchè non disimparino....

Ma del resto è una perdita cieca, un dolore, uno sperpero, una distruzione enorme e inutile.

Parlavo prima di coloro che vorrebbero, per un istinto del cuore, sospendere quasi il corso dell’universo: obbligare tutte le cose a subire l’effetto di questa guerra, a conservarla, a continuarla, a non lasciar perdere niente dello sforzo durato dall’umanità.

È un’illusione; non meno naturale che vana.

Il cuore, che s’è ribellato per un istante, torna presto alla sua quiete usata: si rassegna a questa che non è nè maggiore nè minore di tutte le altre ingiustizie, intollerabili e tollerate, del vivere. Il mondo è pieno di cose senza compenso. Tale è la sua legge. Penso che anch’io ho pianto fanciullo