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406 | scritti di renato serra |
Se manca oggi alla chiamata, risponderà forse domani; fra cinquanta anni, fra cento; e sarà ancora in tempo. Che cosa sono gli anni a un popolo?
Il mare, i monti, il teatro della storia non si muta: l’Italia ha tempo. Non c’è niente mai di fallito o di perduto in un popolo che ha la vitalità e la vivacità di questo. Anche se non avrà preso parte alla guerra.
Ciò può essere un po’ duro da ammettere. Ripugna a qualcuno di dover concludere che in fondo in fondo tutta questa brava gente che abbiamo d’intorno e che pare abbia in pugno le sorti del nostro paese, parlamento, stampa, professori, Giolitti eccellente uomo, e diplomatici, preti, socialisti ancora migliori — non avranno fatto molto male, come non erano capaci di far molto bene; e l’ira verso di loro è tanto esagerata quanto inutile il disprezzo. Il destino dell’Italia non era nelle loro mani. Non avremo niente da vendicare. Quel fremito di vergogna e di rabbia, che volevamo portare chiuso nel cuore, fino al momento dello sfogo, finisce quasi in un sorriso.
E anche questa è una cosa malinconica. Una cosa sciupata. Ma ce n’è tante!
E tutte insieme sono niente se penso a quello che va sciupato, a ogni minuto, intanto che io parlo, intanto che io penso, intanto che scrivo, sangue e dolore e travaglio di uomini presi in questo gorgo vasto della guerra. Gorgo che si consuma in sè stesso.
Che cosa diventano i resultati, le rivendicazioni di territori o di confini, le indennità e i patti e la liquidazione ultima, sia pur piena e compiuta, di fronte a ciò?
Crediamo pure, per un momento, che gli op-