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esame di coscienza di un letterato | 405 |
al richiamo del suo destino, abbandonata come un pezzo di legno morto fuor della corrente della storia.
Certi problemi non possono rimaner legati al destino di una generazione; che può anche essere fiacca, pettegola, ottusa, cieca, vile; come questa sembra. Ma l’Italia è un’altra cosa. E una realtà. Pare che dorma, in questa distesa grigia, fra queste Alpi taciturne e questo mare scolorito, sotto il cielo basso e chiuso; con tutti i suoi uomini rintanati nel torpore e nello squallore delle piccole case, ognuno stretto fra i suoi muri, seduto alla cenere e al fumo del suo focolare, imprigionato nel suo buco, nel suo orizzonte, nei suoi interessi, nella sua meschinità. Di quali destini o di quale avvenire vorrete parlare al bottegaio della città lassù, o al contadino di questa campagna? Di quali problemi si può accorger l’egoismo, che è la forza sola e la ragion di essere che ha sostenuto e mantenuto attraverso il tempo, al di fuori del tempo, la vitalità del branco, attaccato alla sua terra, alle sue cupidige, al suo lavoro e al suo dolore, oggi come tremila anni fa; come sempre, fin che ci saranno viventi sotto il sole?
E va bene. Soltanto, la debolezza di oggi può esser la virtù di domani. Questa quasi animalità sorda e irriducibile, che esaspera oggi e contrista le nostre coscienze agitate, è forse una delle forze sostanziali, è la realtà della razza; che esiste e resiste, cresce, si espande, si moltiplica con una spinta istintiva, oscura e dispersa ancora, ma profonda e tenace, capace di ritrovarsi e di affermarsi al di là della nostra vita, che è corta e transitoria.
Questa Italia esiste; vive; fa la sua strada.