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402 | scritti di renato serra |
diverse la forma dei crani che giacciono ignoti sotto gli strati del terreno millenario, e l’accento, e la legge non scritta.
Che cos’è una guerra in mezzo a queste creature innumerevoli e tenaci, che seguitano a scavare ognuna il suo solco, a pestare il suo sentiero, a far dei figli sulla zolla che copre i morti; interrotti, ricominciano: scacciati, ritornano?
La guerra è passata, devastando e sgominando; e milioni di uomini non se ne sono accorti.
Son caduti, fuggiti gli individui; ma la vita è rimasta, irriducibile nella sua animalità istintiva e primordiale, per cui la vicenda del sole e delle stagioni ha più importanza alla fine che tutte le guerre, romori fugaci, percosse sorde che si confondono con tutto il resto del travaglio e del dolore fatale nel vivere.
E dopo cento, dopo mille anni la guerra tornando si urta alle stesse dighe, riporta agli stessi sbocchi i gruppi degli uomini cacciati o suscitati dalle stesse sedi. È la stessa marea umana che ha traboccato sul Reno e per le Fiandre, ha allagato i piani germanici e sarmatici e s’è rotta ai passi dei monti. Si combatte negli stessi campi, si cammina per le stesse strade.
È vero che questa volta un’ondata profonda pare che abbia sollevato irresistibilmente gli strati più antichi della umanità che s’accampa nelle regioni d’Europa: non è un’avventura o un turbamento locale, ma un movimento di popoli interi strappati dalle loro radici. C’era stata nei primi giorni un’impressione indicibile; come se fosse tornato il tempo delle grandi alluvioni, per cui una razza può prendere il posto di un’altra; l’Europa non aveva più veduto questo da quasi duemila anni: erano i barbari d’allora, le masse