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396 | scritti di renato serra |
gio e progresso; e non si lascia sfuggire, frattanto, l’occasione di fare alla nostra parzialità appassionata certe lezioncine sui meriti della cultura germanica, correggendo spropositi con un sorriso, che è insieme una puntura o un dispetto a tutte le tendenze della politica democratica e massonica; e se c’entra magari una frustata per qualche giovane un po’ insolente, di quelli che hanno il torto di contraddirlo troppo spesso, tanto meglio: perchè anche il giusto è uomo, e non gli si può negare il diritto di lasciarsi irritare, poniamo, da Papini. Ora io non so quanto ci sia di vero in questa impressione: quando con uno credo di non andar più d’accordo non m’interesso del fatto suo, per quella parte, e non me ne informo, a rischio di apparire gratuitamente malevolo nel raccogliere una inesattezza. Ma che importa? Fosse pur tutto vero, io so che Croce non sarà diminuito nè cambiato da un qualunque episodio, simpatico o antipatico, della sua vita politica: qualche difetto di moralista o di sofista, non aveva più bisogno di esserci svelato: e non toglie nulla alla sua persona reale, così come il sorriso troppo soddisfatto della bocca non ci nasconde la serietà e la tristezza sostanziale dell’animo. Croce è sempre Croce, insomma: e che adesso si trovi così bene a braccetto coi Barzellotti e coi Chiappelli e magari con Matilde Serao, è affare tutto domestico, che riguarda lui solo. Se c’è qualche cosa da rimproverargli oggi, è nei frammenti di etica, dove parla del dire la verità: non nelle interviste o negli articoli.
Ma non è lo stesso anche degli altri? Universitari, giornalisti, letterati, politicanti; quelli che eravamo avvezzi se non a stimare molto, almeno a rispettare come persone e intelligenze oneste, me-