Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/442


esame di coscienza di un letterato 395

delle abitudini più facili e più alla mano. Non c’è mai stata tanta retorica e tanto plaqué come in codesta roba della guerra.

Non si dice dei sonetti di Rostand, o di qualche altro accademico: ma vedete le ballate di Paul Fort, fra le più fredde e meccaniche che siano mai cadute dalla sua penna deliziosa, e tutte quelle tirate di Barrès, accanto a pagine superbe, del resto, di forza incisiva e di armonia; pur senza negare che tutto possa avere avuto il suo ufficio, in pratica, e il suo beneficio.

Così da noi: D’Annunzio, per esempio, a cui pensiamo con un certo orgoglio e quasi con simpatia da quando quella sua molto privata e curiosa «cattività in Babilonia» è diventata nel corso degli avvenimenti una espressione simbolica dell’Italia esiliata col cuore sui campi dove si difende un’altra volta la civiltà latina; e il suo ritorno ha un significato, che ci fa sperare e dubitar tutti quanti. Certo D’Annunzio ha guadagnato in questo momento: ha ripreso posto fra noi: è ritornato al posto, da cui pareva scaduto. In realtà, con tutto il favore delle circostanze e della fortuna, non è poi cresciuto di nulla: non ha fatto niente che sia degno di quell’apparente ingrandimento morale: per una lettera, da Parigi assediata, ricca e rotta magnificamente di colore, quante odi su la risurrezione latina, e frasi e parole odiosamente vecchie e false; come se niente potesse esser cambiato mai per lui!

O volete parlar di Croce, che pare impiccolito, allontanato, sequestrato in una acredine di pedagogo fra untuoso e astioso, che si degna di consolare le nostre angoscie dall’alto della sua filosofia, sicuro che tutto alla fine è e non può essere, anche in questa guerra, altro che bene e vantag-