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394 | scritti di renato serra |
che tornano — al lavoro che aveva lasciato; stanco forse, commosso, assorbito, come emergendo da una fiumana: ma con l’animo, coi modi, con le facoltà e le qualità che aveva prima.
Bisognerà ricordare quello che accade anche adesso, intorno a noi, per quelli che prendono parte, non solo come uomini ma anche come letterati, alla guerra; e i cronisti raccontano tante cose di professori, artisti, scrittori, che si sono spogliati delle proprie abitudini, e vanno creando, per i nuovi bisogni, secondo il nuovo spirito dell’ora che passa, una letteratura nuova? Vedete in Francia: letteratura di battaglia, di fede, di semplicità: commediografi e letterati mondani che fanno la cronaca delle trincee; e Barrès, Bergson, Boutroux, Claudel, Bédier; ciascuno nei giornali, nelle conferenze, negli opuscoli, s’è presa la sua parte attiva e utile di fatica; e Rolland che risponde a Hauptmann; e Péguy, e cento altri, che cadono in prima fila. O in Italia; quante rivelazioni, spostamenti, di gente che nell’agitazione che ci trasporta ha cambiato figura: gente seria, stimata, valente che ha lasciato vedere angustie insospettate dell’intelligenza, debolezze, bassezze dell’anima: e altri, accidiosi, che si sono svegliati; spiriti difficili, che si sono fatti semplici; anime leggiere, vane, che hanno obbedito a una voce austera di dovere.
Così diciamo, e sappiamo che non c’è niente di vero. All’infuori di qualche modificazione di accento, portata dalle circostanze, o sia guadagno di semplicità o sia peggioramento di enfasi, all’infuori del mutar materialmente gli argomenti e le occasioni dello scrivere, tutto è com’era; un seguito della letteratura di prima, una ripetizione, se mai, per la fretta del lavoro, che approfitta