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esame di coscienza di un letterato 393

che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura.

Voglio nominare anche questa, appunto perchè è la cosa che personalmente mi tocca meno, forse; in margine della mia vita, come un’amicizia di occasione; verso la quale ho meno diritto di essere ingiusto.

E poi non devo scordarmi di avere avuto qualche cosa di comune — mi sarei rivoltato, se me l’avessero detto; ma era vero egualmente — con tutta quella brava gente, piena di serietà; da tanto tempo va gridando che è ora di finirla, con queste futilità e pettegolezzi letterari, anzi, è finita; finalmente! passata la stagione della stravaganza e della decadenza, formato l’animo a cure più gravi e entusiasmi più sani, attendiamo in silenzio l’aurora di una letteratura nuova, eroica, grande, degna del dramma storico, attraverso cui si ritempra, per virtù di sangue e di sacrifici, l’umanità.

Ripetiamo dunque, con tutta la semplicità possibile. La letteratura non cambia. Potrà avere qualche interruzione, qualche pausa, nell’ordine temporale: ma come conquista spirituale, come esigenza e coscienza intima, essa resta al punto a cui l’aveva condotta il lavoro delle ultime generazioni; e, qualunque parte ne sopravviva, di lì soltanto riprenderà, continuerà di lì. È inutile aspettare delle trasformazioni o dei rinnovamenti dalla guerra, che è un’altra cosa: come è inutile sperare che i letterati ritornino cambiati, migliorati, ispirati dalla guerra. Essa li può prendere come uomini, in ciò che ognuno ha di più elementare e più semplice. Ma, per il resto, ognuno rimane quello che era. Ognuno ritorna — di quelli