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392 | scritti di renato serra |
e alla fine, non muoversi; non far nulla; stare alla finestra a guardare. Che cosa?
Davanti a me non c’è altro che la mia ombra immobile, come una caricatura. Sono otto mesi che la guardo; e faccio cenno colla mano a tutte le altre cure di stare indietro, perchè non ho tempo da badarci; serio, con l’aria di un uomo preoccupato; intanto, leggo dei giornali, e faccio delle chiacchiere; magari cerco, tra parentesi, qualche pretesto per giustificarmi; e se non arrivo a servirmene nella conversazione, è solo per un resto di pudore; o piuttosto, perchè i miei interlocutori mi interessano troppo poco, per prendermi la pena di mistificarli.
Credo di aver detto, fra le altre cose, che la letteratura mi faceva schifo, «in questo momento»; e in ogni modo, se non l’ho detto, ho fatto come quelli che lo dicono; (e, se l’ho detto, ho detto la verità).
Ma è inutile che io mi diverta adesso a farci sopra dell’ironia, che sarebbe facile. Del resto, questa storia della nostra «partecipazione personale alla guerra» nei mesi che son passati, con tutti i suoi equivoci di illusione e di ingenuità e con le sue sfumature di ridicolo, ognuno se la può rivedere per conto proprio, volendo; e la mia non interessa più che quella degli altri.
Per ora, quel che m’interessa è la conclusione. Per quanto ovvia e risaputa, me la voglio ripetere; l’imparerò.
La guerra non mi riguarda. La guerra che altri fanno, la guerra che avremmo potuto fare.... Se c’è uno che lo sappia, sono io, prima di tutti.
È una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e